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Aziende e professionisti - I costi del lavoro: Ticket licenziamento

Ticket Licenziamento

Quando si parla di costo del lavoro solitamente i meno esperti fanno riferimento esclusivamente a retribuzioni, TFR, ratei, contributi etc. In alcuni casi, però, un Consulente del Lavoro professionista può aiutarti ad individuare ulteriori costi, meno conosciuti, che il datore di lavoro deve farsi carico per i suoi collaboratori in forza.

Uno di questi costi meno noti è il Ticket di licenziamento.

In molti casi di interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un lavoratore dipendente le aziende devono tenere in considerazione un ulteriore contributo di licenziamento (così detto ticket) a carico del datore di lavoro. Tale ticket serve a finanziare il Fondo Inps dedicato alla Naspi (ex indennità di disoccupazione).

Anche questo contributo, come spesso accade in materia di lavoro, è soggetto ad aggiornamento annuale legato all’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie (ISTAT) che per il 2022 ha segnato un incremento superiore all’8%. Questa variazione molto significativa dell’indice ISTAT si è tradotta in un aumento del Ticket di licenziamento 2023 e quindi di conseguenza in un aumento del costo del lavoro per le aziende.

Ma che cos’è questo ticket di licenziamento e quando deve essere pagato dall’azienda?

Il ticket di licenziamento è dovuto in caso di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, indipendentemente dal presupposto che l’ex dipendente abbia i requisiti soggettivi per la fruizione della Naspi o se abbia trovato una nuova occupazione.

Per calcolare l’importo dovuto, occorre però prima determinare l’anzianità lavorativa del lavoratore cessato poiché il contributo di licenziamento si calcola in proporzione ai mesi di anzianità aziendale maturati nel limite di tre anni.

Quindi, l’importo massimo che l’azienda deve versare a titolo di ticket di licenziamento è pari a 36 mesi di anzianità aziendale anche se il lavoratore cessato è stato in forza presso lo stesso datore di lavoro per oltre tre anni.

Per l’anno 2023 il contributo di licenziamento annuale è pari a 603,11 €, una quota mensile di  50,26 €; visto che tale contributo deve essere calcolato per un massimo di 36 mesi di anzianità aziendale, il ticket massimo previsto per il datore di lavoro nel 2023 è pari a 1.809,33 €. Si computa un mese intero a titolo di anzianità i periodi superiori a 15 giorni.

Il ticket di licenziamento deve essere corrisposto in un’unica soluzione (non è prevista la rateazione), entro il 16 del secondo mese successivo a quello in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro.

Va detto anche, per completezza di informazioni, che l’importo non deve essere riproporzionato in caso di interruzioni di rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lavoratori part-time, pertanto, anche per quest’ultimi bisognerà pagare il ticket di licenziamento nella misura intera prevista, nonostante (a mio avviso) l’importo della Naspi, se spettante, sarà quasi sicuramente ridotto rispetto ad un lavoratore a tempo pieno. 

Ma quali sono i casi in cui l’azienda è tenuta a versare il ticket di licenziamento? Ogni qual volta si interrompe un rapporto di lavoro o ci sono delle eccezioni?

Premesso che il contributo di licenziamento è dovuto nei soli casi di fine di un rapporto a tempo indeterminato, e che i datori vi sono tenuti in tutti i casi in cui tale cessazione generi in capo al lavoratore (che ha perso involontariamente la propria occupazione) il teorico diritto alla NASpI (a prescindere dalla sua effettiva fruizione), ecco alcuni esempi di cessazione che comportano il pagamento del ticket:

  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
  • licenziamento disciplinare, giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
  • recesso del datore durante o al termine del periodo di prova;
  • recesso del datore durante o al termine del periodo formativo dell’apprendista;
  • risoluzione consensuale a seguito della riuscita del tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 7 L 604/1966);
  • licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto;
  • dimissioni per giusta causa;
  • dimissioni durante il periodo protetto (maternità e paternità); 

Vanno ricordati infine anche alcuni casi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in cui non va versato il ticket, ad esempio:

  • interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente già pensionato;
  • licenziamento del lavoratore domestico;
  • interruzione del rapporto a causa del decesso del dipendente;
  • dimissioni volontarie;
  • pensionamento del lavoratore;
  • trasferimento d’azienda, se il dipendente passa al cessionario senza interruzione del rapporto di lavoro;
  • interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel settore dell’edilizia per completamento delle attività e chiusura di cantiere;
  • licenziamenti effettuati in caso di cambi di appalto ove il lavoratore venga assunto dal subentrante datore di lavoro in attuazione di clausole sociali; etc. 

Hai un’azienda e ti interessa approfondire il tema del costo del lavoro? Continua a seguirci per trovare qui maggiori informazioni sulle variabili di costo del lavoro più noti e meno noti.

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